ga('create', 'UA-3425387-3', 'auto'); ga('send', 'pageview'); Skip to main content

Ghino di Tacco, la storia del Robin Hood italiano

51immagine512

Le origini di Ghino di Tacco

Toscana. Anni Settanta del XIII secolo. Lungo una fangosa carraia nei pressi di Torrita di Siena, un mercante senese, abbigliato con una tunica damascata e bordata di pelliccia, all’ultima moda, è in viaggio per lavoro col suo seguito di familiari e un carro di panni di Fiandra. Ѐ appena scoccata la settima ora dopo mezzogiorno quando una decina di uomini armati a cavallo circondano la carovana e intimano a tutti di fermarsi e collaborare. Al bagliore tremolante delle fiaccole, il padre assicura che a nessuno sarà fatto del male se tutti saranno ragionevoli. Ordina quindi ai figli, Ghino e Turino, di frugare il carro e perquisire gli interlocutori, sotto il tiro persuasivo delle balestre. Un paio di borse e uno scrigno colmo d’oro e d’argento sono “requisiti” assieme ai preziosi tessuti, giusto per rendere il viaggio più agevole agli ospiti senza il fardello di oggetti così pesanti. Il padre fa un cenno col capo, ringraziando il mercante per aver pagato la “gabella” e tutti si allontanano cavalcando a briglia sciolta.

Questa è la cortesia di cavalieri prestati al crimine per necessità. Questo è il modus operandi della famigerata “Banda dei quattro”, tutti membri della nobile famiglia ghibellina dei Cacciaconti, signori della Fratta. Il padre e capobanda è il nobiluomo Tacco di Ugolino, affiancato dal fratello Ghino di Ugolino e dai due figli Turino e Ghino, che si avventurano in audaci scorrerie in Val di Chiana ai danni di ricchi mercanti senesi.Oltre al sostentamento della famiglia, bandita dal sistema di potere cittadino, le rapine assumono un preciso significato politico di resistenza e guerriglia contro la parte guelfa, ormai imperante a Siena, il cui nerbo è appunto la borghesia cittadina imprenditoriale e mercantile.

Il contesto storico 
Siamo nell’Italia dei Comuni. La dinastia imperiale sveva è stata soppiantata dagli Angioini e il ghibellinismo italiano è ormai un’esperienza destinata a volgere al termine. Le città – stato toscane cadono una dopo l’altra sotto l’egida fiorentina e l’antica nobiltà di spada, tradizionalmente ghibellina, non riesce a reggere il confronto. Rimangono sporadiche sacche di resistenza al di fuori delle mura cittadine, nel contado e negli appennini. Gli esponenti di antiche e potentissime famiglie come gli Uberti, gli Ubaldini e i conti Guidi sono leoni che, prossimi alla fine, sferrano le ultime gloriose zampate. Tra questi valorosi Ghino di Tacco ha sicuramente una posizione di spicco.

La figura del brigante-gentiluomo ha da sempre affascinato il grande pubblico. Nobiltà d’animo, abnegazione per una causa d’onore, protezione dei più deboli e beffarda punizione dei ricchi e dei prepotenti sono le caratteristiche che attirano e appassionano. Nell’Ottocento lo scrittore inglese Walter Scott consacra definitivamente il mito col romanzo Robin Hood. Questa è una bellissima leggenda, mentre la vita di Ghino di Tacco è assolutamente reale pur sembrando uscire dalla penna di un grande romanziere. Egli è citato da Dante Alighieri, suo contemporaneo, nella Commedia, e ha ispirato un’intera novella nel Decamerone di Giovanni Boccaccio, per poi entrare nella tradizione orale del folklore toscano.

Ghino di Tacco

L’esecuzione del Padre e dello Zio da parte del giudice Benincasa da Laterina
Anno del Signore 1285, piazza del Campo a Siena. La folla si accalca attorno alla forca con grida di scherno, per assistere a una pubblica esecuzione. Maledetti ghibellini! Infami traditori del Comune di Siena! Due capestri pendono dall’architrave della forca. Tacco e Ghino di Ugolino Cacciaconti stanno per essere giustiziati per le loro rapine e per aver messo a ferro e fuoco la città di Torrita sei anni prima. Ghino e Turino sono risparmiati in ragione della loro giovane età. Tra le autorità presenti, il giudice aretino Benincasa da Laterina, che ha emesso la sentenza, sorride soddisfatto del felice esito della sua inchiesta.Un’ultima volta gli occhi di Ghino si incrociano con quelli del padre e dello zio. Poi i carnefici spingono i condannati su per le scalette a pioli e le corde si tendono fino a che non sopraggiunge la morte. Ghino non dimenticherà mai il nome e il volto dell’infame magistrato, giurando a sé stesso e alla sua casata che ne avrà vendetta, una volta o l’altra.

La Conquista della Rocca di Radicofani 
Come Robin Hood si rifugia nella foresta di Sherwood sulla strada per Nottingham da cui è stato bandito, il fuoriuscito Ghino di Tacco, assieme al fratello Turino, intorno al 1290 occupa il castello di Radicofani e ne diventa di fatto il padrone, stabilendovi il suo quartier generale e la base logistica di rapine, scorrerie e sequestri di persona nelle zone circostanti. Radicofani si trova al confine tra il territorio comunale di Siena e lo Stato pontificio in posizione dominante sulla Val d’Orcia e sulla via Cassia-Francigena.

Sul mastio sventola il vessillo con lo stemma di Ghino: su campo rosso un solido anello d’acciaio assicurato a quattro catene in decusse, simbolo di forza. Come un rapace, il “Falco di Radicofani” piomba con la sua nutrita schiera di masnadieri su chiunque si ritrovi a transitare sulla via Francigena. I membri delle famiglie patrizie vengono derubati, sequestrati e rilasciati solo dietro lauti riscatti. Pellegrini e studenti universitari sono benevolmente risparmiati dal Signore di Radicofani. E Ghino, pur se brigante, è un gran signore sia per natali sia per stile. Secondo l’Imperatore Federico II un uomo è nobile per “antica ricchezza e belli costumi”. Ghino di Tacco dimostra la sua cavalleria usando cortesia e liberalità con tutti i suoi “clienti”. La violenza è un’eccezione: chi viene derubato, perché facoltoso, è rilasciato con l’occorrente per proseguire il viaggio, mentre studenti, pellegrini e prigionieri in attesa di riscatto sono rifocillati al castello con lauti banchetti.

La Vendetta di Ghino
Fine del XIII secolo. Rafforzata in questo modo la propria posizione, per il nostro Ghino di Tacco è giunto il tempo della vendetta. Eccolo Ghino di Tacco percorrere la via Francigena alla testa di una cavalcata di 400 uomini in un nugolo di polvere e arrivare sino al cuore di Roma, sprezzante come un re visigoto. Arrestata la propria corsa forsennata davanti al Campidoglio, con un colpo di speroni sprona il destriero che con gli anteriori sfonda la porta d’ingresso del palazzo. All’interno si trova una sua vecchia conoscenza: Benincasa da Laterina, che nel frattempo ha fatto carriera ed è stato nominato giudice della corte di papa Bonifacio VIII. Tronfio e avvolto nella sua ricca toga, assiso dietro una scrivania carica di volumi e pergamene giuridiche, il magistrato è agguantato da due uomini che lo scaraventano in ginocchio davanti al Falco di Radicofani.

“La tua testa per quella di mio padre Tacco. Questa è la mia sentenza.”

Un giusto baratto secondo le antiche consuetudini dell’onore. Con la spada appartenuta al padre, Ghino di Tacco decapita Benincasa in un sol colpo. La testa cade a terra in un fiotto rosso scuro ed è recuperata per i capelli e infilzata su una picca. I masnadieri esultano per il loro signore che ha avuto vendetta.L’orrido trofeo è issato sulla torre più alta di Radicofani. Lo scalpo di Benincasa rimarrà esposto alle intemperie per qualche mese, come monito. Chi aveva avuto la presunzione di elargire la giustizia divina, è stato colpito dalla folgore della giustizia umana.

Ghino di Tacco nel Decameron: il rapimento dell’abate di Cluny
Vicino al giustiziere che ha impressionato Dante (Purgatorio, Canto VI) spicca anche il gentiluomo che ha ispirato Boccaccio. Nella II novella del X giorno del Decamerone, quest’ultimo ci lascia testimonianza dell’altro episodio eclatante della carriera di Ghino di Tacco, ossia il rapimento dell’abate di Cluny.
Il nuovo secolo, il Trecento, è appena iniziato. L’abate di Cluny, uno dei più ricchi e potenti monasteri benedettini d’Europa, ospite in Vaticano, ha ecceduto nei festeggiamenti e nei bagordi riportando un fastidioso mal di stomaco.

Ghino di Tacco il brigante gentiluomoIl Brigante Gentiluomo
Diretto alle terme di San Casciano dei Bagni per cercare sollievo dal suo male con abluzioni nell’acqua calda, lungo la via Francigena presso Radicofani il chierico viene preso prigioniero da Ghino di Tacco assieme a tutto il suo seguito e alle sue sostanze.Il brigante mostra interesse per la salute fisica del suo importante ospite e gli prescrive una dieta a suo dire infallibile: prima digiuno assoluto, solo acqua da bere, poi fave e pane innaffiato dalla vernaccia di San Gimignano. Dopo qualche giorno l’abate si riprende in pieno e l’imbarazzo di stomaco è ormai solo un ricordo. Alla fine Ghino lascia libero il suo ospite di tornare a Roma dal papa.

Il perdono di Papa Bonificio VIII
L’abate di Cluny, giunto davanti al Trono di Pietro, si inginocchia deferente ai piedi di Bonifacio VIII, visibilmente preoccupato da giorni della sua sorte nelle mani di un famigerato bandito. Il gran monaco si rialza e, guardando negli occhi Sua Santità, gli parla di un vero gentiluomo, dai metodi poco ortodossi ma baciato dalle virtù della cavalleria, della carità e dell’altruismo. Questa intercessione vale il perdono papale al nobile brigante di Radicofani per tutte le sue passate vicissitudini tra cui la morte di Benincasa da Laterina. Ghino di Tacco viene addirittura nominato Priore dell’Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni (attuale Ordine dei Cavalieri di Malta).

La misteriosa morte
Verosimilmente deceduto nel primo ventennio del XIV secolo, non si conosce nulla di certo dell’ultimo periodo della sua vita, dato che le notizie sul suo conto, reperite nei registri della Biccherna del Comune di Siena, terminano negli ultimi anni del secolo precedente. La tesi più accreditata lo vede cadere drammaticamente in un agguato tesogli a Sinalunga in Val di Chiana da assassini di una fazione avversa. Tuttavia è bello ricordarlo sorridente, mentre chiacchiera a banchetto con un gruppo di giovani studenti nel suo nido di falco, sul monte a Radicofani.

di Nicola Marchi